Così il decreto Flussi favorisce lo sfruttamento dei lavoratori (Domani)

Articolo di Gaetano De Monte pubblicato il 30 maggio 2024 su editorialedomani.it

È l’unico strumento concepito per far entrare i migranti in maniera regolare in Italia, ma il sistema è così distorto che a perdere sono le imprese oneste, le casse dello stato e i lavoratori. A vantaggio dei faccendieri e delle mafie. La denuncia della campagna Ero Straniero.

In Italia esiste un solo canale di ingresso legale e regolare attraverso cui le aziende e anche le famiglie possono assumere lavoratori e lavoratrici stranieri provenienti dai paesi esteri per farli lavorare in Italia. Eppure, è il modo in cui lo stesso meccanismo previsto dalla legge è concepito, come Domani ha già raccontato, a favorire l’irregolarità giuridica dei migranti, il loro sfruttamento e il ricorso al lavoro nero da parte dei datori di lavoro.
La denuncia, l’ennesima in questo senso, è della campagna Ero Straniero, una rete di organizzazioni laiche e religiose che da qualche tempo hanno imposto al dibattito pubblico il tema della necessità di una riforma del meccanismo della gestione dei flussi migratori per la ricerca di lavoro.
«PEGGIO DI OGNI PREVISIONE»
L’ultima giovedì 30 maggio, quando le organizzazioni hanno presentato al Senato il report “I veri numeri del decreto Flussi, un sistema che continua a creare irregolarità”, dimostrando attraverso un lungo lavoro di monitoraggio condotto con i dati di prefetture, ministero degli Esteri, degli Interni e del Lavoro che nel 2023 «soltanto il 23 per cento delle persone in ingresso per motivi di lavoro riesce a stabilizzare la propria posizione sul territorio e quindi ad accedere concretamente a diritti e servizi», spiega a Domani Fabrizio Coresi, esperto di politiche migratorie per Action Aid, tra i curatori del rapporto.
«Il rimanente 77 per cento, tra gli aspiranti lavoratori e lavoratrici, o si trova ancora nel paese d’origine e non è riuscito ad entrare legalmente in Italia, o rimane sul territorio italiano in condizione di soggiorno irregolare sempre più esposto a precarietà di vita e sfruttamento lavorativo». Continua Coresi: «Quando abbiamo deciso di intraprendere il monitoraggio del decreto flussi, avevamo la percezione che fosse un meccanismo ormai anacronistico e non funzionante, quando abbiamo esaminato i dati nel dettaglio, però, città per città, ci siamo accorti che il quadro è allarmante, peggio di ogni previsione».
LE CIFRE DI UN DISASTRO
In effetti, a leggere i numeri nel dettaglio, se ne ha la conferma. Si scopre così che nell’anno 2023 (decreto Flussi 2022) le domande presentate sono state 462.422, quasi sei volte di più delle quote di ingresso, cioè dei posti disponibili, che erano 82.705. Si pensi anche che solo nel click day (giorni in cui è possibile presentare la domanda, nda) del 27 marzo 2023 sono state 278.414 le istanze presentate. E ancora, che nell’ultimo click day in ordine di tempo, quello del marzo di quest’anno, come ha riferito il Viminale, «sono state presentate 690.000 domande a fronte di 151.000 ingressi autorizzati».
Si tratta di un trend persino in peggioramento, nonostante i proclami del governo Meloni nel voler aumentare gli ingressi legali di migranti. Infatti, basta considerare che nel 2022 le domande erano state 209.839, a fronte soltanto di 69.700 ingressi di migranti consentiti. E oggi questo rapporto è raddoppiato, da tre volte a sei.
«Sia le organizzazioni datoriali che i responsabili dei patronati che abbiamo intervistato nel corso del monitoraggio hanno definito questo meccanismo una lotteria, una gara contro il tempo, un sistema aleatorio», dice Giulia Gori di Mediterranean hope, il programma migranti e rifugiati della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia. E poi Gori conferma che «un numero consistente di domande non arriva al secondo passaggio della procedura di ingresso, cioè alla concessione del visto rilasciato dall’ambasciata. Così migliaia di quote vengono perse», conclude.
E ciò non accade per caso: per le disfunzioni di un sistema che comprende lunghe attese per i richiedenti e tempi delle ambasciate che non sono compatibili con i bisogni delle imprese e delle famiglie, ma anche con i desideri delle persone migranti. Ma c’è di più. Il vero cortocircuito avviene una volta che i lavoratori e le lavoratrici riescono ad arrivare in Italia.
LE FASI DELLA PROCEDURA
Il sistema funziona così: dopo la pubblicazione da parte del governo del decreto annuale di programmazione dei flussi (decreto Flussi) vengono individuate delle date (click day) a partire dalle quali le aziende e le famiglie possono richiedere manodopera dall’estero e soltanto per alcuni settori lavorativi.
Dopo questa prima fase di invio della domanda, entrano in gioco nella procedura gli sportelli unici dell’immigrazione istituiti presso le prefetture competenti sul territorio che, se la richiesta è stata presentata correttamente, concedono il così detto nulla-osta al lavoro e all’ingresso in Italia della persona che si vuole assumere. Poi, lo stesso documento (nulla-osta) è inviato contestualmente alla stessa rappresentanza diplomatica italiana del paese di origine del richiedente che dovrà rilasciare il visto. Da questo momento, per farlo, le ambasciate hanno 180 giorni di tempo e, se anche questa procedura viene perfezionata, i lavoratori e le lavoratrici potranno fare ingresso in Italia.
Qui scatta una ulteriore corsa contro il tempo e contro la burocrazia. Dal momento in cui fanno ingresso in Italia, i migranti e i loro datori di lavoro hanno otto giorni di tempo per perfezionare l’accordo in prefettura, stipulare così il contratto di soggiorno, e cominciare a lavorare, richiedendo allo stesso tempo alla questura il rilascio del permesso di soggiorno. Ma è proprio quasi alla fine della procedura che tutto si complica, spesso, irrimediabilmente. Perché le prefetture possono impiegare anche mesi prima di convocare le persone per il rilascio del nulla osta e, di conseguenza, il tempo si dilata. E dato che anche le questure possono impiegare diversi mesi per il rilascio del permesso che consente alla persona che arriva di vivere regolarmente in Italia, lavorare ed usufruire dei servizi.
Nel frattempo, con il solo nulla-osta il migrante potrà lavorare, ma accade sempre più spesso, e i dati di Ero Straniero lo dimostrano plasticamente, che queste persone si ritrovano senza documenti e così cadono nell’irregolarità giuridica, sia perché il datore si avvale della prestazione del lavoratore finché lo ritiene utile e successivamente si può rifiutare di formalizzare il rapporto, sia perché l’impresa può chiedere addirittura un ulteriore contributo economico per concludere la procedura volta al rilascio del permesso per lavoro. E se il migrante si rifiuta, perde il diritto a rimanere in Italia.
Non solo. Come dimostra un recente studio del dipartimento di Scienze sociali e politiche dell’università Statale di Milano, ci si trova di fronte, evidentemente, a quella che gli autori definiscono «la grande finzione del decreto flussi e delle sanatorie con attori privati variegati, ma accomunati da un comune intento: quello di fare profitto e speculare sui migranti». Detta ancora in altri termini: a vere e proprie truffe ai danni dei lavoratori i quali pagano alcune migliaia di euro a presunti intermediari, datori di lavoro o aziende fittizie in cambio dell’assunzione, salvo arrivare in Italia e non avere da loro più notizie.
LA SOLUZIONE C’È
Per contrastare le disfunzioni di un sistema in cui perdono tutti (le persone migranti, il mondo produttivo virtuoso e le casse dello stato), però, una strada c’è ed è prevista dallo stesso legislatore, oltre che dal Viminale, ed è quella indicata ancora da Fabrizio Coresi a nome della campagna Ero Straniero: «È il rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione, previsto dal Testo unico immigrazione e dalle indicazioni contenute in due circolari del ministero dell’interno, una del 20.08.2007 e una del 17.11.2020, le quali chiariscono che se la mancata formalizzazione del rapporto di lavoro è attribuibile al datore di lavoro può essere rilasciato un permesso per attesa occupazione, proprio lo scarso uso di questo strumento, non dà garanzie alle persone entrate con il decreto flussi», dice Coresi.
«Infatti, per il 2023 risultano essere stati rilasciati solo 84 permessi per attesa occupazione, e nell’anno precedente, 146. Ovvio che sono interventi del tutto insufficienti rispetto alle decine di migliaia di persone che avrebbero necessità di ricorrervi per non cadere in una condizione irregolare di soggiorno. Mentre sarebbe sufficiente prevedere esplicitamente, con adeguate disposizioni, il rilascio obbligatorio del permesso per attesa occupazione in tutti quei casi in cui la procedura viene rigettata per motivi non imputabili al lavoratore», conclude.

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