Articolo di Paolo Pezzati pubblicato il 13 novembre 2019 su Il Riformista
Il tema delle politiche migratorie in Italia oggi più che mai ha bisogno di un approccio organico e strutturale, che metta in campo decisioni di medio e lungo periodo. Partendo dalla regolarizzazione dei canali di ingresso per ricerca lavoro e dall’emersione delle centinaia di migliaia di irregolari presenti nel nostro Paese. Persone prima di tutto, che potrebbero essere una risorsa essenziale per il presente e il futuro del nostro Paese, ma che ad oggi sono costrette a sopravvivere in un “limbo”, una “zona grigia”, tra legalità e illegalità. In buona parte per effetto dell’introduzione dei cosiddetti “Decreti Sicurezza”, da parte dell’ultimo Governo. Una situazione che può essere affrontata solo attraverso misure stringenti e immediate. Per questo con la proposta di legge collegata alla campagna “Ero Straniero”, sottoscritta da 90.000 persone nel 2017, stiamo chiedendo al nuovo Governo di attivarsi al più presto per l’introduzione di un permesso di soggiorno temporaneo per la ricerca di occupazione, con l’intermediazione tra datori di lavoro italiani e lavoratori stranieri, la reintroduzione del sistema dello sponsor e la regolarizzazione su base individuale degli stranieri già “radicati” nel nostro Paese. Ma prima di tutto occorre che la nuova maggioranza batta un colpo, dando un senso alla parola “discontinuità”, più volte messa al centro del dibattito politico negli ultimi mesi, ma ancora non tradotta in provvedimenti concreti. Oggi più che mai dobbiamo uscire dalle polemiche strumentali che parlano solo alla pancia della gente. E proprio per dare forza al cammino della proposta in Parlamento e contribuire al dibattito sulla prossima legge di bilancio, durante la conferenza stampa che si è svolta ieri alla Camera dei deputati, come Comitato Promotore della Campagna “Ero Straniero”, abbiamo voluto sottolineare l’impatto economico che avrebbe un provvedimento di emersione, anche solo per 400 mila dei 500-600mila irregolari presenti nel nostro Paese.
Dai nostri calcoli entrerebbe almeno 1 miliardo di euro per lo Stato, ogni anno. Considerando che il reddito medio annuale di un lavoratore in Italia è di 20.000 euro lordi l’anno (media tra autonomo e dipendente secondo l’Istat), si avrebbe a regime una entrata di 2.232 euro all’anno a persona, che per 400mila persone fa 893 milioni di euro di gettito fiscale. A cui vanno aggiunte le entrate “una tantum” per i costi amministrativi ed eventuali contributi forfettari per l’emersione. 1 miliardo all’anno servirebbe a coprire, ad esempio, una parte dei costi di scuola e istruzione, settore che nella manovra per il 2020 non sembra godere di stanziamenti adeguati. Ancora maggiori sarebbero i benefici se guardiamo ai contributi previdenziali: oltre 3 miliardi l’anno. La questione economica, leva utile in questo momento visto che si sta discutendo la legge di stabilità, è uno degli aspetti che la nostra proposta investe. Ma il punto che ci preme sottolineare è che la nostra è una richiesta di legalità necessaria. Chi sono infatti queste centinaia di migliaia di persone che si trovano nel nostro territorio senza un titolo valido? Principalmente rispondono a due grandi categorie. In primis sono persone presenti da anni nel nostro territorio in modo regolare che nel tempo però, per una serie di motivi, hanno perso i requisiti per vedere rinnovato il loro permesso di soggiorno. Persone che sono cadute nell’irregolarità e in una spirale che in molti casi ha significato la perdita di tutto quanto si erano guadagnati con tanta fatica. L’altra categoria riguarda i molti richiedenti asilo arrivati nel nostro Paese negli ultimi anni. Molti di loro mentre hanno aspettato l’esito della domanda, hanno seguito corsi di lingua, di formazione professionale e hanno iniziato a lavorare svolgendo le mansioni più varie in molti settori, dall’agricoltura alla logistica, con un investimento duplice sia da parte dello Stato per la loro accoglienza, che da parte dei privati, con la formazione professionale e l’inserimento lavorativo. Persone che, in alcuni casi dopo 2 anni, hanno visto la loro richiesta di asilo respinta con un diniego e sono stati costretti a lasciare il proprio lavoro in quanto divenuti irregolari. A queste due categorie ben presto, ovvero nel 2020, si aggiungeranno in termini di rilevanza numerica quelle persone che hanno ricevuto i vari permessi speciali, istituiti dopo l’abolizione della protezione umanitaria del primo decreto sicurezza: un permesso per “motivi speciali”, non rinnovabile e non convertibile, ovvero uno scivolo diretto verso l’invisibilità e lo sfruttamento.
Ebbene solo con un processo di “emersione”, si aprirebbe l’opportunità di vivere e lavorare legalmente nel nostro Paese a chi già si trova sul territorio e, allo stesso tempo, si andrebbe incontro ai tanti datori di lavoro che, bisognosi di personale, non possono assumere lavoratori senza documenti, anche se già formati, e ricorrono al lavoro in nero: pensiamo solo alla condizione in cui si trovano decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici domestiche e di altre figure legate ai servizi di cura nelle nostre case o a chi ogni giorno è vittima di terrificanti condizioni di sfruttamento in agricoltura. Proprio ieri Renzo Sartori, presidente di Number 1 Logistics Group di Parma, leader italiano nella logistica integrata e Vice Presidente di AssoLogistica, ci ha raccontato di un sistema sbagliato con cui è stato costretto a scontrarsi. Un sistema che non permette di portare a compimento il percorso di integrazione intrapreso da tanti richiedenti asilo in Italia che, dopo essere stati formati e aver lavorato all’interno dell’azienda nell’ambito di un progetto di inclusione lavorativa, ora non possono più farlo, avendo ottenuto una risposta negativa alla richiesta di asilo o al rinnovo della protezione umanitaria. Loro si ritrovano senza documenti, costretti a vivere illegalmente in Italia e la sua azienda che vuole assumerli e può assicurare loro un futuro, non può far niente. Insomma, la sfida per la maggioranza, per il Governo e per il Parlamento è tutta tra messaggi propagandistici e capacità di riforma. Il tempo della discontinuità è adesso.