Articolo di Filippo Miraglia pubblicato il 19 novembre 2019 su Il Manifesto
Sono quasi 10 anni che in Italia non si può entrare legalmente per lavoro e che, per la popolarità che continua ad avere l’ideologia proibizionista in materia di immigrazione, le leggi producono illegalità e sfruttamento. Le stime parlano di 600/700 mila stranieri irregolari presenti nel nostro Paese. Presenza che fa comodo alla destra xenofoba e a chi sfrutta il loro lavoro senza versare contributi e tasse e sentendosi senza alcun obbligo, in ragione della paura di questi lavoratori di pagare con l’espulsione eventuali rivendicazioni.
Come ha proposto la campagna “Ero Straniero”, consentire oggi a centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici straniere di regolarizzare la loro posizione, rappresenterebbe una grande operazione legalità. Facendo emergere i tanti rapporti di lavoro che, a causa di una legge ingiusta e inefficace, sono in essere senza un regolare contratto, così come quelli dove il contratto c’è, ma che rischiano di andare ad alimentare le filiere del lavoro nero qualora non possano rinnovare il proprio permesso di soggiorno, come succede a tanti richiedenti asilo in attesa di definizione della procedura.
In molte regioni del Paese l’assenza di manodopera è oramai evidente e le aziende continuano a chiedere un intervento che consenta l’ingresso regolare degli stranieri per ragioni di lavoro e la possibilità per gli irregolari già presenti in Italia di sanare la propria posizione a fronte di un contratto di lavoro. In assenza di un meccanismo di emersione strutturale, ossia non straordinario, come quello presente nella proposta di legge d’iniziativa popolare presentato dalla campagna Ero straniero – e oggi in discussione alla Commissione Affari costituzionali della Camera -, il rischio è di non riuscire ad arginare il buco nero dell’irregolarità e del conseguente sfruttamento, alimentando un’idea falsa e strumentale dell’immigrazione. L’argomento che dal 2011 a oggi ha monopolizzato la discussione sull’immigrazione, ossia che fossimo davanti ad una presunta invasione e che bisognasse fare di tutto (e si è fatto di tutto) per impedire alle persone di arrivare in Italia, si è tradotta nell’impossibilità di entrare legalmente.
In realtà quest’argomento andrebbe, oggi più di ieri, ribaltato: se non c’è un meccanismo praticabile e giusto di ingresso per lavoro e per ricerca di lavoro, l’Italia, il mondo del lavoro, il sistema economico, rischiano il collasso nel giro di pochi anni.
La presenza d’irregolari peraltro non ha altre soluzioni se non forme di regolarizzazione permanenti. Al ritmo al quale i governi rimpatriano gli irregolari, ammesso che questa sia una soluzione favorevole al nostro Paese, e sappiamo che non lo è, ci vorrebbe un secolo per azzerare l’irregolarità. Ecco quindi che in un mondo dove le persone si muovono poco, gli ultimi dati dell’Onu parlano di una percentuale del 3,4% della popolazione mondiale che emigra (258 milioni su 7,5 miliardi, quindi quasi il 97% non si muove da casa), l’obiettivo per l’Italia, con un bilancio demografico negativo da anni, deve essere attrarre persone per mantenere l’equilibrio.