Immigrazione. I meccanismi del decreto flussi hanno creato irregolarità (Avvenire)

Articolo di Vincenzo R. Spagnolo pubblicato il 31 maggio 2024 su Avvenire

«I primi due giorni, sia per i badanti che per i lavoratori non stagionali, è stato proprio un delirio. E da quando faccio questi click day, è stato sempre così. Eppure io sono puntuale, arrivo un’ora prima, mi preparo tutti i computer…». Marco, operatore di un’organizzazione italiana di datori di lavoro, racconta così uno dei momenti critici, quello della presentazione delle domande online, che deve superare chi voglia assumere un dipendente straniero in modo regolare, all’interno del meccanismo predisposto dal decreto flussi. Un meccanismo che, denunciano le associazioni che partecipano alla campagna Ero Straniero, che “nonostante siano state introdotte procedure semplificate, si rivela ancora chiaramente come un sistema rigido e farraginoso, che non solo continua a essere insufficiente rispetto alle richieste del mondo produttivo, ma conserva storture e criticità profonde che finiscono per creare irregolarità e precarietà”. Analizzando i dati ministeriali, il dossier “I veri numeri dei flussi” – appena presentato in Senato – fotografa le annate 2022 e 2023, certificando ad esempio che nel 2023 le domande di ingresso per lavoro sono state sei volte di più rispetto alle quote fissate dal governo. E, tuttavia, beffardamente solo il 23,52% delle quote si è poi trasformato in permessi di soggiorno e impieghi stabili e regolari. Nel 2022, invece, il tasso è stato del 35,32%, ma rispetto a un numero di quote inferiore.
L’accesso “civico” ai dati dei ministeri
Alla campagna aderiscono molte associazioni e organizzazioni laiche e religiose (fra cui A Buon Diritto, ActionAid, Asgi, Oxfam, Arci, Cnca, Cild, Fondazione Casa della carità “Angelo Abriani” e altre) e l’analisi è stata condotta sui dati – ottenuti tramite accesso civico ai ministeri di Interno, Esteri e Lavoro – sugli esiti dei decreti flussi relativi agli anni 2022 (decreto flussi del dicembre 2021) e 2023 (decreto flussi del dicembre 2022).
Surplus di domande, ma migliaia di quote non usate
Dall’esame dei dati, si evincono diversi nodi e problemi del sistema. Intanto, nel 2023 le domande pervenute nei click day sono state ben sei volte più numerose delle quote di ingressi stabilite: “462.422 istanze inviate, a fronte di 82.705 posti disponibili”. Nel 2022 erano state 209.839, più del triplo delle quote messe a disposizione (69.700). Migliaia di domande extra-quota, annota il dossier, che avrebbero potuto – con quote più alte – far entrare nel Paese “altrettante lavoratrici e lavoratori regolarmente, in sicurezza”, corrispondendo alle richieste del mercato italiano, che ne ha bisogno. Non solo: se poi si guarda agli effettivi rilasci dei nulla osta di ingresso, si scopre che migliaia di quote non vengono utilizzate: “Nel 2022 i nulla osta rilasciati sono solo 55.084 a fronte di 69.700 quote disponibili (il 79,03%)”. C’è poi un terzo passaggio complicato: il rilascio dei visti per l’ingresso da parte delle rappresentanze italiane nei Paesi di origine. Pure lì, la scrematura incide: dai dati del ministero degli Esteri emerge che “al 31 gennaio 2024, rispetto ai 74.105 ingressi previsti per l’anno 2023, risultavano 57.967 visti rilasciati e 10.718 visti rifiutati”. Per di più, anche fra i 57mila che avevano ottenuto il visto, ben 38.926 (e cioè il 67%) risultavano ancora in “attesa di convocazione”. Qui, fanno notare le associazioni, è chiaro che “il meccanismo si inceppa”. Lo conferma pure il fatto, sconcertante, che “rispetto alle quote 2022 (stabilite dal decreto flussi 2021) ci siano ancora oltre 2.300 visti pendenti, a confermare una pesante dilatazione dei tempi, ben oltre i limiti di legge”, in questo passaggio della procedura.
Solo uno su cinque ce la fa
Ma il dato più “allarmante” mostrato dal dossier sta nel passaggio seguente e più importante, quello della “finalizzazione della procedura, con l’assunzione e il rilascio dei documenti”. Se infatti si confrontano le quote fissate nei click day del marzo 2023 e i contratti di soggiorno effettivamente sottoscritti, “a fronte di 74.105 posti disponibili (su 82.705 quote complessive, che includono le conversioni), solo 17.435 sono state le domande finalizzate con la sottoscrizione del contratto e la richiesta di permesso di soggiorno per lavoro, ossia il 23,5%”. Un tasso lievemente superiore si è registrato nel 2022, col 35,2%, ma rispetto a un numero di quote inferiore: per la precisione, su 42mila posti per il canale stagionale, il 36% (15.215 contratti sottoscritti); su 20mila ingressi non stagionali, il 33,4% (6.688 contratti sottoscritti). Insomma, denuncia la campagna, “solo una piccola parte di lavoratrici e lavoratori che entrano in Italia con il decreto flussi riesce a stabilizzare la propria posizione lavorativa e giuridica, ottenendo lavoro e documenti”. Che fine fa il resto delle persone? Secondo le associazioni, “è destinato a scivolare in una condizione di irregolarità e quindi di estrema precarietà e ricattabilità. Un paradosso drammatico per un sistema che dovrebbe garantire l’ingresso legale di manodopera e contribuire alla crescita al Paese”.
Le testimonianze: «Tempi lunghi, spesso l’azienda fallisce o il posto non c’è più»
Insieme ai dati, il dossier riporta numerose testimonianze – raccolte tra giugno 2023 e aprile 2024 da docenti e ricercatori dell’Università Statale di Milano, nonché da operatori dei patronati – che danno conto delle difficoltà e della corsa ad ostacoli che datori di lavoro, sindacati e lavoratori debbono affrontare. Tommaso, operatore di un’organizzazione di imprenditori, racconta ad esempio che, col nuovo decreto flussi triennale (varato dal governo Meloni e che ha aperto a 452mila ingressi negli anni 2023-24-25), “abbiamo un po’ accelerato i tempi ed entro 30 giorni già ci danno il nulla osta. Ma resta il problema delle ambasciate: il Marocco ad esempio impiega 5-6 mesi per far venire i propri connazionali. E i nostri datori di lavoro perché comunque, una volta che prendono l’appuntamento, dopo perdono tanto tempo e quindi lamentano questa lungaggine che non viene incontro al loro bisogno di lavoro. Se fanno una domanda oggi, non è che possono aspettare 5-6 mesi, perché poi alla fine magari ci sono alcuni che non hanno neanche più bisogno, perché i lavori sono finiti”. E talvolta va persino a finire che – racconta Chiara, che opera in un ente della società civile – “i casi di persone di cui non si riesce neanche più a rintracciare il datore di lavoro sono tanti: cooperative che sono fallite, datori di lavoro morti, aziende che hanno chiuso… Se passa così tanto tempo, è inevitabile che la specifica opportunità lavorativa evolva”. Ci sono poi anche i casi di chi, grazie ai decreti flussi, riesce a sanare la propria condizione, dopo anni di lavoro in nero subito perché senza documenti o perché gli ingressi per i collaboratori familiari sono inferiori alle necessità del mercato italiano: “Le quote per il settore domestico sono molto, molto limitate. Non ti nascondo che la maggior parte di questi badanti sono già persone che stavano qui irregolari, che abbiamo regolarizzato”, confida Vieri, operatore di un’organizzazione datoriale.
Le richieste di Ero Straniero: permessi per “attesa di occupazione”, emersioni individuali, sponsor
Alla luce dei dati analizzati, la campagna Ero straniero avanza nuovamente al ministro dell’interno Matteo Piantedosi la richiesta “di intervenire con urgenza e prevedere il ricorso al permesso di soggiorno per attesa occupazione in tutti quei casi a rischio irregolarità”, quando la procedura di assunzione “non vada a buon fine per motivi che non dipendono da lavoratrici e lavoratori”. Più a lungo termine, viene ribadita “la necessità di una più generale riforma del sistema di ingresso per lavoro” che preveda “canali diversificati e flessibili, con l’introduzione della figura dello sponsor o di un permesso per ricerca lavoro, e un meccanismo di emersione su base individuale, sempre accessibile, senza bisogno di sanatorie” che dia la possibilità “a chi rimane senza documenti di mettersi in regola a fronte della disponibilità di un contratto di lavoro o di un effettivo radicamento nel territorio”.

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