Articolo pubblicato su il Manifesto del 19 marzo 2020
Senza stagionali dai paesi comunitari, impossibilitati a venire in Italia a lavorare a causa del coronavirus, secondo l’allarme lanciato da Coldiretti, si rischia nelle prossime settimane di «pregiudicare le fornitura di generi alimentari a negozi e supermercati» mettendo a rischio il 25% dei raccolti. Ma saranno impossibilitati a entrare nel nostro Paese anche i lavoratori stagionali non comunitari. In tutto sono 370 mila, sempre secondo Coldiretti, i lavoratori regolari che arrivano ogni anno in Italia e che rappresentano una manodopera vitale per il comparto agroalimentare.
Tra l’altro, nel 2019 come negli ultimi anni, per i cittadini non comunitari residenti all’estero il decreto flussi prevedeva una quota per il lavoro stagionale di 18.000, già del tutto insufficiente alle esigenze, secondo le associazioni di categoria che continuano a denunciare come il fabbisogno sia molto più alto e che senza numeri adeguati non si faccia altro che aprire le porte a lavoro nero, sfruttamento e caporalato.
Se Coldiretti propone di far lavorare nei campi pensionati e studenti, noi pensiamo che vi siano altri bacini da cui attingere, a partire dalle tante persone precarie che nei prossimi mesi avranno bisogno di lavorare. In particolare, c’è una misura che pensiamo possa essere presa subito dal governo e che permetterebbe in tempi brevi di non colpire il settore agricolo e non mettere a rischio la fornitura di generi alimentari al Paese: un provvedimento straordinario di regolarizzazione per i cittadini stranieri non comunitari già presenti in Italia, con il rilascio di un permesso di soggiorno – per lavoro stagionale o subordinato – a fronte della stipula di un contratto di lavoro nel settore agricolo.
Si andrebbe così incontro, innanzitutto, a imprenditori e aziende che necessitano di lavoratori, senza mettere a rischio i raccolti e, di conseguenza, la disponibilità di generi di prima necessità. Un provvedimento di emersione, inoltre, consentirebbe a centinaia di migliaia di persone di vivere dignitosamente, libere da sfruttamento lavorativo e caporalato e di ridurre in misura consistente la piaga del lavoro sommerso che, al contrario, rischia di essere nelle prossime settimane una scelta obbligata per tante aziende.
Un tale provvedimento andrebbe poi allargato anche ad altri settori, come già abbiamo proposto nei mesi scorsi, consentendo a tanti datori di lavoro di assumere persone magari già formate, ma rimaste senza documenti o a chi, costretto dalla normativa attuale, ricorre al lavoro in nero, come nel caso del lavoro domestico o dei servizi di cura. Con l’assunzione di nuovi lavoratori, inoltre, si avrebbero per lo Stato nuove entrate fiscali e contributive, preziosissime in questo momento, oltre all’entrata una tantum che deriverebbe dal pagamento di un eventuale contributo forfettario da versare per ogni lavoratore assunto.
Ma tali interventi straordinari servono solo se preludono a cambiamenti reali rispetto al passato in materia di immigrazione. Torniamo a ribadire la necessità di introdurre, come prevede la nostra proposta di legge di iniziativa popolare in discussione alla Camera, la regolarizzazione su base individuale di chi è già in Italia ma è rimasto senza titolo di soggiorno, attraverso un meccanismo sempre accessibile per superare definitivamente la normativa esistente, che ha dimostrato ormai di essere del tutto inefficace e che continua a produrre evasione fiscale e contributiva, illegalità e marginalità sociale.