Siamo a pochi minuti da Gazipur, città industriale a una ventina di chilometri da Dacca. Un sobborgo che conta da solo gli stessi abitanti di Roma: 3,5 milioni di persone, alle quali di giorno si aggiunge almeno un altro milione di lavoratori che producono jeans e magliette per l’Occidente. Dalle 17, quando chiudono le fabbriche, si possono trascorrere anche cinque ore imbottigliati nel traffico per tornare in una città, Dacca, che di abitanti ne fa circa 15 milioni. Gazipur è il centro del Made in Bangladesh, il primo pilastro economico nazionale.

Made in Bangladesh

Potenza tessile mondiale seconda solo alla Cina, il paese esporta quasi 38 miliardi di dollari di vestiti all’anno, 1,77 miliardi verso l’Italia, che rappresenta uno dei mercati europei più importanti.

La “merce” più preziosa che esporta il Bangladesh, però, è la manodopera. Con circa due milioni di persone che ogni anno entrano in età lavorativa, la scarsità di impieghi e oltre un terzo della popolazione che vive in povertà, in media 800.000 persone all’anno migrano in cerca di fortuna. Il vero pilastro dell’economia bengalese sono le rimesse, i soldi mandati a casa da chi lavora all’estero, che ammontavano nel 2024 a 27 miliardi di dollari, 1,1 miliardi solo dall’Italia.

Nonostante tutto, anche Maidul ne mandava di soldi quando viveva a Roma. Per un periodo ha lavorato come benzinaio, 800 euro presso una pompa a Ponte Galeria e un capannone dove poteva anche dormire.

«Andrà meglio, parlo la lingua e non c’è più la crisi economica che c’era in quegli anni», spiega. Nel 2023 ha fatto nuovamente richiesta tramite i flussi, ha ricevuto il nullaosta e sta aspettando da due anni l’appuntamento per il visto all’Ambasciata italiana di Dacca. «Ho pagato oltre 7mila euro a un’agenzia qua che mi ha messo in contatto con un datore di lavoro in Italia, altrettanti dovrò darne quando mi arriverà il visto», spiega Maidul che per finanziare l’impresa ha venduto il negozio di vestiti in cui ha investito in questi anni.