Articolo di Marco Ludovico pubblicato su ilsole24ore.it il 12 luglio 2019
Secondo Luigi Cannari, vicecapo dipartimento economia e statistica di via Nazionale, «i lavoratori stranieri tendono a svolgere attività diverse da quelle dei residenti, che tendono a spostarsi su impieghi con un maggior grado di qualificazione»
Definitivo: i migranti non tolgono lavoro agli italiani. Se a sostenerlo in pubblico con dovizia di argomenti è un dirigente della Banca d’Italia, c’è poco da discutere. Il tema emerge al convegno «Perché ci conviene-nuovi strumenti per la promozione del lavoro e dell’inclusione della popolazione straniera in Italia».
Si è svolto oggi a Montecitorio, organizzato dai promotori del progetto di legge di iniziativa popolare «Nuove norme per la promozione del regolare permesso di soggiorno e dell’inclusione sociale e lavorativa di cittadini stranieri non comunitari», relatore in commissione Affari costituzionali Riccardo Magi (+Europa). Osserva Magi: «Nel nostro paese la regolamentazione dei flussi migratori non ha mai coinciso con i fabbisogni produttivi».
Gli effetti della denatalità sui conti pubblici
Il primo relatore al convegno è Luigi Cannari, vicecapo del dipartimento economia e statistica della Banca d’Italia. Si parte dagli effetti preoccupanti del calo demografico sull’economia. «Perché ci preoccupa il crollo della popolazione? È legato agli equilibri delle nostre finanze pubbliche. La sostenibilità del debito pubblico dipende da quanto siamo in grado di produrre come Paese» ricorda Cannari. «Se il debito resta elevato ma il prodotto interno lordo si riduce perché diminuisce il numero delle persone che lavorano, il rapporto debito/pil tende ad aumentare e la sua sostenibilità può essere messa a rischio».
Il rischio dell’azzeramento dei flussi migratori
Con le attuali tendenze demografiche «avremmo un calo del pil da qui al 2060 dell’11,5%, il rapporto tra debito e pil ovviamente aumenterebbe di conseguenza». Certo, osserva il dirigente di via Nazionale, «se la produttività dovesse crescere, per compensare questo andamento demografico, dovrebbe avere un incremento dello 0,3% all’anno per stabilizzare il pil. Non è tanto in assoluto ma – sottolinea – è abbastanza rispetto all’esperienza italiana degli ultimi venti anni».
Poi c’è uno scenario peggiore, pur evocato e sollecitato da alcuni: l’azzeramento dei flussi migratori. «Con un saldo migratorio zero l’incremento della produttività del lavoro dovrebbe essere tre volte superiore allo 0,3% l’anno per compensare il maggior calo della popolazione». Produttività così in aumento è uno scenario proprio improbabile.
Nessun “effetto spiazzamento” degli stranieri sul lavoro degli italiani
«Si può obiettare che l’immigrazione non aiuta se spiazza il lavoro degli italiani» afferma con pacatezza Cannari «ipotesi valida se il lavoro degli immigrati è aggiuntivo». È vero tuttavia il contrario: «Gli studi condotti in parte da Banca d’Italia, università e centri di ricerca ci dicono che questo fenomeno non accade: gli immigrati tendono a svolgere – spiega il dirigente di Bankitalia – attività lavorative diverse da quelle che svolgono i lavoratori nativi che tendono a spostarsi su lavori che hanno un maggiore grado di qualificazione».
Gli effetti positivi prevalgono
Non solo, dunque, «non c’è uno spiazzamento, nel senso che il lavoro degli immigrati riduce il lavoro dei nativi. In alcune situazioni – rammenta il relatore – in particolare per le donne, l’ingresso di popolazione straniera può addirittura favorire la maggiore partecipazione al mercato del lavoro». Perché se è vero che «gli immigrati sono in taluni casi specializzati in certi tipi di attività, come quelle domestiche o i servizi di cura agli anziani, ciò può avere un effetto positivo sulle donne native italiane che si immettono sul mercato del lavoro».
La questione migranti non è solo economica, certo. Ma l’autorevolezza di queste considerazioni deve far riflettere molti.